FATHERSNAKE ON THE ROAD

Blog di corsa, ma non solo, di un runner per metà rocker e per metà podista.

lunedì 16 settembre 2013

Un trail transalpino (Trail des Alpes Maritimes 2013).

Da qualche tempo intendevo partecipare a un trail in terra transalpina, con criteri preferenziali la relativa vicinanza, la lunghezza non eccessiva e naturalmente, lo svolgersi in un weekend di turni lavorativi favorevoli. 
Requisiti che il trail delle Alpi Marittime, di ieri con partenza e arrivo a Sospel, nel suo percorso di 25 chilometri, soddisfaceva in toto. 
Il sabato prima prima dell'evento, con Lia e mia madre sono a Briga Marittima (La Brigue), in uno spartano albergo scelto come base per l'operazione. La camera, una tripla, è talmente spartana da sembrare quasi una cella monastica. Niente televisore, bagno in comune, sistemato in una nicchia nel corridoio esterno chiuso (si fa per dire) da una semplice porta a soffietto non bloccabile dall'interno. E' talmente piccolo che quando ci si siede sul water le ginocchia toccano il muro di fronte.
A parte questo, l'albergo è pulito e sopportiamo di buon grado queste scomodità, visto anche il costo competitivo della camera. 
A Briga Marittima non c'è molto da vedere, così, decidiamo per una gita nella vicina e più vivace Tende.
Vista così, Tende appare ben poco vivace.

Approssimatasi l'ora di cena, siamo in cerca di una pizzeria. 
La pizza il sabato sera prima di una gara è un must cui non voglio rinunciare. Un'ora dopo sistemiamo le gambe sotto un tavolo di un ristorante a Fontan, dove ci servono quelle che paiono una specie d’incrocio tra una piadina e una fonduta. La pizza francese non è altro che un surrogato di quella italiana. Niente mozzarella ma un abbondante strato di formaggio su cui galleggiano spaurite alcune striminzite olive e qualche traccia di prosciutto: è la pizza Reina. Io però ho fame e in fondo non è neppure male.
Dopo la cena non rimane molto da fare, così torniamo alla base e lasciamo che il tempo trascorra tra una chiacchiera e l'altra. Alcuni avventori, seduti in un dehor all'esterno dell'albergo su cui si affaccia la finestra della camera, ridono e fanno caciara. Ho un brutto presentimento. La ciaciara andrà infatti avanti, udibile pur munitomi di tappi per le orecchie, fino alle ventiquattro, dopo cui gli allegri compari se ne andranno restituendo al paese il silenzio quasi assoluto che gli è proprio.
Silenzio che dura tre ore, dopodiché la stanza accanto alla nostra è rumorosamente occupata da una coppia che non si dà per niente pena di rispettare il sonno altrui, neanche fossero le quattro di pomeriggio. La Brigue non è Ibiza e la sua vita notturna è in sostanza inesistente, mancando di locali. Come si fa a rientrare alle tre di notte? Da quel momento in poi il sonno se ne va e tornerà solo per brevi sprazzi.
La mattina successiva a quella notte travagliata ci regala un inaspettato e bellissimo arcobaleno. E dire che le previsioni dicevano pioggia!
Cinque minuti, non di più, e il cielo è completamente grigio e già scende qualche goccia. Era uno scherzo, evidentemente.
Facciamo colazione in camera, muniti preventivamente di bollitore, tazze, fette biscottate, miele e marmellata portati da casa. La tariffa della camera non comprende infatti la colazione; in caso contrario, non sarebbe più stata vantaggiosa, anzi.
La gara è appena iniziata
                                                         ....
Dopo poco siamo diretti a Sospel, ove in mezz'ora raggiungeremo il padiglione sede di partenza.
E' la mia prima volta con camel bag. Il regolamento della gara obbligava la dotazione di 1 litro e mezzo di acqua, coperta termica, fischietto e telefono cellulare con batteria completamente carica.
Ligio ai dettami della gara mi sono dotato di tutte queste cose, ma lo sciacquio dell'acqua contenuta nel sacco dietro la schiena, nel momento in cui accenno qualche corsetta di prova, mi fa sentire come se avanzassi con un materasso ad acqua appiccicato alla schiena.
Dopo un briefing ovviamente in francese di cui, altrettanto ovviamente, non comprendo una parola, si parte.
La pioggia sì è fermata e per qualche istante un timido sole illumina il variopinto serpentone, che si accinge ad affrontare la salita. Sei chilometri d’ininterrotta ascesa, che da 360 metri sul livello del mare di Sospel ci porteranno a 1100, dopodiché una serie di su e giù per arrivare alla "Cima Coppi" del tracciato (1200 mt).
Non posso essere considerato uno scalatore puro, tuttavia reggo bene durante quel tratto, scostandomi per lasciar passare i più dotati, che non mancano di ringraziare con un merci, e lasciandone altri alle spalle. I miei punti di riferimento visivi, quello con i bastoncini, quello con i capelli lunghi etc etc mi dicono che la mia posizione rimane pressoché costante. Seguiamo uno stretto sentiero che si fa largo tra un mix di piante alpine e mediterranee e che si fa ora roccioso, ora più verde.
Al culmine della salita sono in ancora in possesso di una buona dose di energia ed ora mi aspetta una discesa continua di cinque chilometri. La pioggia, che nel frattempo si è rifatta viva, pur senza insistere, ha reso il tracciato ancora più tecnico di quanto non fosse naturalmente. Le numerose rocce che costellano il sentiero in declivio si sono fatte viscide, infide. 
Pur senza forzare, lasciandomi semplicemente cadere, recupero parecchie posizioni. In certi tratti il sentiero non è più sentiero ma solo una distesa di pietre semoventi e lucide di pioggia. 
Accidenti quanto siamo saliti penso. Approfittando di una vasta apertura nella vegetazione, il panorama alla mia destra si rivela, grandioso: scorgo nuvole sotto di me e ancora più sotto un vasto panorama di colline verdi. Distrarsi può essere però fatale e il mio è solo un fuggevole occhieggiare, piuttosto che contemplazione.
Galvanizzato dai miei continui sorpassi, intuendo di essere in discreta posizione, comincio a far calcoli sulla possibilità di mantenere il vantaggio accumulato. 
Pur amando la discesa, alla fine non ne posso più di tutto quello scendere. I quadricipiti cominciano ad accusare stanchezza. Olivetta San Michele, in territorio italiano, accoglie le mie stanche membra con l'indifferenza di un paese soffocato dalla noia domenicale. Mi aspettavo qualche accenno di tifo italiano (portavo un cappello tricolore) ma l'unica presenza vivente del piccolo abitato, reso grigio dalla pioggia, è il ristoro sistemato dagli organizzatori su un largo spiazzo sterrato. 
Quest'ultimo lo salto, perché nel frattempo avevo scoperto che idratarsi con il camel bag può essere davvero comodo, con buona pace dello sciacquio.
I paesaggi attraversati


A questo punto del percorso, trovo difficoltà a digerire ogni minima pendenza, la maggior parte delle quali supero camminando. Si rifanno vivi, implacabili, quasi tutti i miei ultimi sorpassi in discesa, quasi a rivendicare una posizione in classifica a loro più congeniale. Purtroppo per me i sette chilometri verso l'arrivo non saranno una facile discesa asfaltata.
Quando una donna, posta dagli organizzatori a guardia del bivio che separa il tracciato dei concorrenti della 45 km da quelli della 25 km, m’indirizza à gauche avvisandomi che mancano solo trois kilomètres all'arrivo, alzo gli occhi al cielo ringraziando chiunque lo abiti.

Saranno proprio quegli ultimi, striminziti chilometri i più duri: non ho più la forza di spingere in avanti, limitandomi a una sterile corsettina, inframezzata da qualche veloce camminata. 
In quel momento, chiunque con un minimo di freschezza supplementare in più avrebbe potuto agevolmente superarmi. Per fortuna, lo faranno soltanto in due. 
Giungo al traguardo, al cinquantunesimo posto su 145 partenti, sedicesimo di categoria  su quaranta, con la faccia di chi non ha fatto fatica; ma è solo fiction a beneficio dei presenti: sono mortalmente esausto, tant'è che ci vorrà un po’ prima che riesca anche solo a mangiare.
Una delle gare più dure mai affrontate.

Almeno, la voglia di trail francese me la sono tolta.