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FATHERSNAKE ON THE ROAD
Blog di corsa, ma non solo, di un runner per metà rocker e per metà podista.
mercoledì 25 maggio 2011
Lassù dove osano i Fathersnake
Che volete fare: da quando ne ho vista una sintesi l'anno scorso su uno dei canali digitali della RAI me ne sono innamorato. Qualche dettaglio da sistemare ma, forse forse....
domenica 22 maggio 2011
10K Monza: la delusione.
A caldo, la delusione era così forte che neppure avrei voluto dedicare un post alla gara di ieri. Poi ci ho ripensato; un po’ per dovere di cronaca, ed un po’ perché è troppo facile scrivere post solo quando le cose vanno bene, anche se comunque non si ha una spiegazione del perché vanno male. Ecco, appunto: non ho alcun argomento valido per motivare un passo medio di 4.31 in una gara piatta. Eppure godo di una condizione fisica ottimale; con un ultimo allenamento, neppure pesante, eseguito due giorni prima. Da subito mi rendo conto che non sarà una gara velocissima, sia per la gran mole di partecipanti, un migliaio circa, sia per la caratteristica del tracciato, molto nervoso: curve secche a gomito, strettoie, tratti al buio ed altri in pavè, una lieve pendenza, l'attraversamento di una passerella. Niente che non mi aspettassi, comunque. Si corre alle 21:30, dopo un veloce intervento di Francesco Panetta, ex ragazzo di Calabria ora residente in loco. Temperatura ideale. Due giri da 5 km ognuno. Sono partito senza gps, non per scelta ma perché trovato inaspettatamente scarico. Il primo primo giro inizia con l'immediata preoccupazione di stare bene attento a non inciampare in piedi altrui, vista la calca, e finisce nel segno della stanchezza. Psicologica, più che fisica. A sensazione, mi pare di stare correndo bene. Col senno del poi, sapere di essere lento mi avrebbe forse dato uno stimolo per cercare di accelerare, ma a me pareva di veleggiare su ritmi accettabili. Il tracciato si fa strada, transennato, tra la gente ai tavolini fuori dai locali, tra torme di bambini vocianti, tra passanti. In nessun altra gara cui ho partecipato l'interazione tra atleti e spettatori, interessati e non, è così marcata. Dieci km tutti d'un fiato che mi sembrano in realtà cinque, forse per la quantità di stimoli visivi e acustici che distraevano. Immediatamente dopo un punto di ristoro (due in totale, animati da vivaci ragazzi in t-shirt bianca con il logo della manifestazione) un getto d'acqua vaporizzato donava per qualche istante una gradevole sensazione di frescura.
Distante ancora circa 800mt dal traguardo finale sento la roboante voce dello speaker elogiare i 4:18 al minuto di qualcuno che transitava sotto lo striscione in quel momento. A quel punto si frantuma l'illusoria sensazione di velocità vissuta fino ad allora: mi rendo conto che da un pezzo ho il fiato troppo corto, le gambe pesanti e dalle retrovie stanno rinvenendo in parecchi. L'impietoso chilometraggio recita un tempo finale di 0:45:12. ad un passo di 4'31".
Cosa ancora peggiore, non mi sono per nulla divertito.
Un saluto!
Una palpabile insoddisfazione. |
lunedì 16 maggio 2011
AIUTO, HO PERSO LA MAMMA! (Memorial Fulvio Zecchini)
"Vado a prenderlo io il Garmin".
Queste furono le ultime parole pronunciate da mia madre prima della partenza della gara della Mandria (splendido parco nei pressi di Venaria) valida per il campionato UISP canavesano. Intanto però il tempo passava, e l'inizio della gara si approssimava. Tempi contati i miei, perché alle dodici mi aspettava un turno di lavoro. Già il fatto che la gara iniziasse ben dopo le nove m’inquietava, perché i margini di tempo disponibili per il rientro non erano così ampi. Ebbene, dopo un’ora da quelle parole, di mia madre nemmeno l'ombra. Eppure, si trattava, al massimo di venti minuti di cammino: dieci andata, dieci ritorno. Comincio a chiedere in giro se mai qualcuno l'avesse vista. Niente. Allora corricchio in direzione dell'auto (distante più di un chilometro di sentieri campestri) e un podista che conosco mi riferisce che l'aveva vista passare, diretta verso la partenza, più di dieci minuti prima. Come? L'avrei scorta sicuramente, visto che da un secolo ormai ero in trepida attesa simil vedetta lombarda, accanto alle borse della Podistica Leinì, squadra di cui mi onoro far parte.
Dov'era finita? Perdersi è impossibile,con la gran mole di podisti che trottano da e verso la partenza, e gli altoparlanti che strepitano; non siamo nella giungla vietnamita. Intanto, ormai è ora di partire e non so che fare: se dover disinteressarmi della competizione e cercarla (dove, poi?) oppure parteciparvi contando sul fatto che, attraversando il parco in corsa, magari sarei riuscito a scorgerla da qualche parte. Con mano il suo cellulare, neanche aspettassi una telefonata così importante per cui valesse la pena rispondere nel corso di una competizione, mi accodo al lungo serpentone che comincia ad allungarsi tra gli sterrati sentieri. Se non la trovo? Non posso neppure avvisare al lavoro, perché i numeri sono memorizzati sul mio cellulare, scarico e dentro l'auto.
E' lei quella? No, troppo alta.
Comunque corro, e risalgo qualche posizione.
Chissà se si può allertare la protezione civile.
Così com’è gradevole correre nella penombra del sottobosco, appena il sentiero ci porta fuori, all'aria aperta, il caldo si fa sentire.
Magari faccio gridare il suo nome dagli altoparlanti, tipo "la mamma del podista fathersnake è desiderata alla cassa due”.
Senza GPS, la mia corsa è più naturale, ma stento, forse colpa del terreno muscolare, a ritrovare quella fluidità, che nelle migliori occasioni mi aveva fatto veleggiare senza quasi sforzo.
I battiti sono un po’ alti, lo sento, ma è sopratutto il respiro, l’indice più attendibile che sono un po’ sopra i ritmi giusti.
Nel frattempo continuo a scrutare tra la gente che incrocio ai crocicchi erbosi.
Poco prima della fine del primo giro, giusto ai piedi di uno strappetto, tra altri eccola. Si era persa, ovviamente. Le mollo il cellulare che avevo tenuto in mano fino a quel momento. Non dico nulla, poiché non avevo fiato per le imprecazioni, ed affronto la seconda parte della gara un po’ più rilassato.
Faccio qualche esperimento con le falcate.
Accorcio il passo, e mi pare di guadagnare più terreno spendendo meno. Interessante, Da rifare la prossima gara.
Qualche altro sorpasso, l'ultima ai danni di una ragazza poco prima dell'arrivo (di questo mi vergogno un po’) ed ecco la fine delle sofferenze.
174esimo su 450. ZERO punti
C'è tempo solo per un veloce the; stiamo già trottando verso l'auto, e lo faccio tenendo mia madre bene a vista d'occhio.
Non si sa mai.
Queste furono le ultime parole pronunciate da mia madre prima della partenza della gara della Mandria (splendido parco nei pressi di Venaria) valida per il campionato UISP canavesano. Intanto però il tempo passava, e l'inizio della gara si approssimava. Tempi contati i miei, perché alle dodici mi aspettava un turno di lavoro. Già il fatto che la gara iniziasse ben dopo le nove m’inquietava, perché i margini di tempo disponibili per il rientro non erano così ampi. Ebbene, dopo un’ora da quelle parole, di mia madre nemmeno l'ombra. Eppure, si trattava, al massimo di venti minuti di cammino: dieci andata, dieci ritorno. Comincio a chiedere in giro se mai qualcuno l'avesse vista. Niente. Allora corricchio in direzione dell'auto (distante più di un chilometro di sentieri campestri) e un podista che conosco mi riferisce che l'aveva vista passare, diretta verso la partenza, più di dieci minuti prima. Come? L'avrei scorta sicuramente, visto che da un secolo ormai ero in trepida attesa simil vedetta lombarda, accanto alle borse della Podistica Leinì, squadra di cui mi onoro far parte.
Dov'era finita? Perdersi è impossibile,con la gran mole di podisti che trottano da e verso la partenza, e gli altoparlanti che strepitano; non siamo nella giungla vietnamita. Intanto, ormai è ora di partire e non so che fare: se dover disinteressarmi della competizione e cercarla (dove, poi?) oppure parteciparvi contando sul fatto che, attraversando il parco in corsa, magari sarei riuscito a scorgerla da qualche parte. Con mano il suo cellulare, neanche aspettassi una telefonata così importante per cui valesse la pena rispondere nel corso di una competizione, mi accodo al lungo serpentone che comincia ad allungarsi tra gli sterrati sentieri. Se non la trovo? Non posso neppure avvisare al lavoro, perché i numeri sono memorizzati sul mio cellulare, scarico e dentro l'auto.
E' lei quella? No, troppo alta.
Comunque corro, e risalgo qualche posizione.
Chissà se si può allertare la protezione civile.
Così com’è gradevole correre nella penombra del sottobosco, appena il sentiero ci porta fuori, all'aria aperta, il caldo si fa sentire.
Magari faccio gridare il suo nome dagli altoparlanti, tipo "la mamma del podista fathersnake è desiderata alla cassa due”.
Senza GPS, la mia corsa è più naturale, ma stento, forse colpa del terreno muscolare, a ritrovare quella fluidità, che nelle migliori occasioni mi aveva fatto veleggiare senza quasi sforzo.
I battiti sono un po’ alti, lo sento, ma è sopratutto il respiro, l’indice più attendibile che sono un po’ sopra i ritmi giusti.
Nel frattempo continuo a scrutare tra la gente che incrocio ai crocicchi erbosi.
Poco prima della fine del primo giro, giusto ai piedi di uno strappetto, tra altri eccola. Si era persa, ovviamente. Le mollo il cellulare che avevo tenuto in mano fino a quel momento. Non dico nulla, poiché non avevo fiato per le imprecazioni, ed affronto la seconda parte della gara un po’ più rilassato.
Faccio qualche esperimento con le falcate.
Accorcio il passo, e mi pare di guadagnare più terreno spendendo meno. Interessante, Da rifare la prossima gara.
Qualche altro sorpasso, l'ultima ai danni di una ragazza poco prima dell'arrivo (di questo mi vergogno un po’) ed ecco la fine delle sofferenze.
174esimo su 450. ZERO punti
C'è tempo solo per un veloce the; stiamo già trottando verso l'auto, e lo faccio tenendo mia madre bene a vista d'occhio.
Non si sa mai.
Non avendo foto de La Mandria, ho messo la foto di una mandria. |
lunedì 9 maggio 2011
Ritorno a Santa Cristina di Borgomanero (Marcia delle Rose)
Cosa non si fa per essere a pranzo da Oliver.
Torno per la seconda volta in quest’amena località adiacente a Borgomanero, sede di molteplici gare organizzate da diverse associazioni sportive. Si tratta di percorrere circa dodici chilometri in sterrato, ove tratturi erbosi e in pendìo entrano ed escono dai boschi, particolarmente estesi in quella zona. Dislivello non eccessivo, ma è tutto un su e giù, con pochissimi chilometri veramente in piano. Qualche erta (sopratutto la prima, in asfalto, al quarto chilometro) porta addirittura a camminare.
La partecipazione, è come al solito, numerosa (757 concorrenti in totale, compreso il minigiro, 430 circa della gara principale)
Mi piazzo in posizione avanzata, ma non troppo, e al via lascio scorrere le gambe, senza preoccuparmi dei tempi: sul mio gps ho da qualche tempo sostituito la visualizzazione del passo con quella della distanza e del tempo di percorrenza.
Lascio che le gambe adottino la velocità che più loro aggrada, senza tanti patemi: cerco la fluidità, anziché la velocità. Ed è strano: da un po’ di competizioni a questa parte mi sono reso conto che più cerco di frenarmi, più vado forte. Ho scoperto questa tecnica suonando il basso e la sto applicando con successo anche nelle corse. Nel basso, in certi riff in cui le dita devono volare sul manico, il cercare di suonare semplicemente note nel più breve tempo possibile non porta a risultati apprezzabili. Si può fare, ma alla fine l'esecuzione risulterà confusa ed imprecisa. Una volta che cerchi di frenarti scopri che quella velocità CE L'HAI GIA' DENTRO. Quello che importa è che le dita sappiano esattamente dove andare a posarsi. La velocità non è altro che è il risultato di tale consapevolezza. Ecco che, in competizione, la ricerca della naturalezza del gesto atletico, della fluidità, ti porta alla velocità come conseguenza.
Da metà gara in poi subentra un po’ di stanchezza psicologica: correre preoccupandosi di dove vanno a finire i piedi, per evitare radici affioranti (comunque segnate con intelligenza, in bianco, dagli organizzatori) o pietre alla fine logora. Durante un tratto in discesa il piede destro s’imbarca in una semi-storta, ma recupera in fretta senza strascichi. Il caldo si fa sentire, e ogni volta che il percorso ci porta dalla frescura dei boschi ai tratti en plein air, il caldo picchia sulla testa e annebbia le idee, già annebbiate dalla fatica. Negli ultimi chilometri, davanti a me, due donne si danno battaglia: il loro è un vicendevole sorpassarsi dove una bionda, primeggia nei tratti in salita e l'altra, bruna, più corpulenta e dalla corsa più mascolina, s'avvantaggia in quelli in pianura. M’inserisco nella lotta mio malgrado: abbiamo la stessa velocità e in quel momento vorrei essere la terza donna, ma solo per primeggiare, per una volta, nelle parti alte di una classifica.
Con un ultimo allungo termino la gara: 84esimo (responso di mamma Pina) e felicemente terzo delle donne.
La giornata si finisce con un pranzo da re (e che vini!) da Oliver e signora e con l'ottima compagnìa di Patty, Furio, Teo.
Torno per la seconda volta in quest’amena località adiacente a Borgomanero, sede di molteplici gare organizzate da diverse associazioni sportive. Si tratta di percorrere circa dodici chilometri in sterrato, ove tratturi erbosi e in pendìo entrano ed escono dai boschi, particolarmente estesi in quella zona. Dislivello non eccessivo, ma è tutto un su e giù, con pochissimi chilometri veramente in piano. Qualche erta (sopratutto la prima, in asfalto, al quarto chilometro) porta addirittura a camminare.
La partecipazione, è come al solito, numerosa (757 concorrenti in totale, compreso il minigiro, 430 circa della gara principale)
Mi piazzo in posizione avanzata, ma non troppo, e al via lascio scorrere le gambe, senza preoccuparmi dei tempi: sul mio gps ho da qualche tempo sostituito la visualizzazione del passo con quella della distanza e del tempo di percorrenza.
Lascio che le gambe adottino la velocità che più loro aggrada, senza tanti patemi: cerco la fluidità, anziché la velocità. Ed è strano: da un po’ di competizioni a questa parte mi sono reso conto che più cerco di frenarmi, più vado forte. Ho scoperto questa tecnica suonando il basso e la sto applicando con successo anche nelle corse. Nel basso, in certi riff in cui le dita devono volare sul manico, il cercare di suonare semplicemente note nel più breve tempo possibile non porta a risultati apprezzabili. Si può fare, ma alla fine l'esecuzione risulterà confusa ed imprecisa. Una volta che cerchi di frenarti scopri che quella velocità CE L'HAI GIA' DENTRO. Quello che importa è che le dita sappiano esattamente dove andare a posarsi. La velocità non è altro che è il risultato di tale consapevolezza. Ecco che, in competizione, la ricerca della naturalezza del gesto atletico, della fluidità, ti porta alla velocità come conseguenza.
Da metà gara in poi subentra un po’ di stanchezza psicologica: correre preoccupandosi di dove vanno a finire i piedi, per evitare radici affioranti (comunque segnate con intelligenza, in bianco, dagli organizzatori) o pietre alla fine logora. Durante un tratto in discesa il piede destro s’imbarca in una semi-storta, ma recupera in fretta senza strascichi. Il caldo si fa sentire, e ogni volta che il percorso ci porta dalla frescura dei boschi ai tratti en plein air, il caldo picchia sulla testa e annebbia le idee, già annebbiate dalla fatica. Negli ultimi chilometri, davanti a me, due donne si danno battaglia: il loro è un vicendevole sorpassarsi dove una bionda, primeggia nei tratti in salita e l'altra, bruna, più corpulenta e dalla corsa più mascolina, s'avvantaggia in quelli in pianura. M’inserisco nella lotta mio malgrado: abbiamo la stessa velocità e in quel momento vorrei essere la terza donna, ma solo per primeggiare, per una volta, nelle parti alte di una classifica.
Con un ultimo allungo termino la gara: 84esimo (responso di mamma Pina) e felicemente terzo delle donne.
Photo by Patty |
photo by Patty |
giovedì 5 maggio 2011
Father e le zanzare (serale di Granozzo)
Martedì è serale, è Granozzo. Da quelle parti, tra Vercelli e Novara, per me è tutto un deja vù sportivo, perché con la due ruote ci venivo spesso a competere. Questo paese non fa eccezione: vi riconosco alcuni tratti di strade, il rettilineo di un vecchio arrivo.
Stasera 3 maggio però si corre a piedi per una sei chilometri, prima tappa del "Gran Prix città di Novara". Arrivato in tempo solo grazie a velocità che raramente raggiungo in autostrada, eccomi tra la solita, variopinta folla. Il tempo di due sgambate, di annaffiare una pianta e son davanti. Sì, parto dalle prime file, come se per decreto qualcuno avesse deciso che debba considerarmi un top runner. Ovviamente non lo sono, e la punizione per aver osato tanto avviene dopo la fiammata del primo chilometro, corso ad un passo di 3' 53''. Già dal secondo sono a quattro e sedici, dopo aver imboccato uno sterrato che durerà all'incirca tre chilometri. La punizione non è completa senza che si subiscano dei sorpassi, ed infatti prego, accomodatevi:
ecco due ragazzini che sembrano appena usciti da una partita di calcetto;
-un runner ultratech di nero vestito, probabilmente un androide;
-una ragazzina dal passo molto fluido e t-shirt rosa con accompagnatore aggiunto che le ripete a intervalli "dai che vai bene, muovi quelle braccia";
-un corpulento runner (guarda questo..meno male che mi considero grasso io) ma inesorabilmente più veloce di me;
-un lungagnone similtrail;
-un anziano podista dall'età stimata di sessant'anni. (si sa, nel podismo l'età non è così indicativa del valore).
e poi vari altri runner .
Ne supero soltanto uno che, poverino, rantola come prossimo a lasciare questa Terra.
Il mio ritmo tocca 4' 31 di minimo, poi una timida reazione, o più probabilmente una folata di vento, mi riporta a quattro e undici, ma ormai la gara è finita (io lo ero già da tempo).
Neanche il tempo di prendere fiato che sono costretto a schiaffeggiarmi; un po’ per la dissennata condotta di gara, ma sopratutto per l'assalto di un esercito di zanzare che costringe me e mia madre, quest'ultima ormai parzialmente dissanguata, a chiuderci in auto. Metto in moto e imbocco un sentiero sterrato alla cieca: qualsiasi cosa, pur di fuggire. Fortunatamente, più per culo che per perizia geografica, dopo cinque minuti riesco a immettermi sulla via principale, asfaltata, e imboccare il primo dei centosette chilometri che mi riporteranno a Fatheropoli.
Ah, quanto poco mi sono divertito: correre sopra i propri limiti significa patire, e non veder l'ora di tagliare il traguardo solo per accorciare la tortura. Ho preferito, però, una serale patita a un triste allenamento in solitaria.
Passo medio 4:18
Ciao!
Stasera 3 maggio però si corre a piedi per una sei chilometri, prima tappa del "Gran Prix città di Novara". Arrivato in tempo solo grazie a velocità che raramente raggiungo in autostrada, eccomi tra la solita, variopinta folla. Il tempo di due sgambate, di annaffiare una pianta e son davanti. Sì, parto dalle prime file, come se per decreto qualcuno avesse deciso che debba considerarmi un top runner. Ovviamente non lo sono, e la punizione per aver osato tanto avviene dopo la fiammata del primo chilometro, corso ad un passo di 3' 53''. Già dal secondo sono a quattro e sedici, dopo aver imboccato uno sterrato che durerà all'incirca tre chilometri. La punizione non è completa senza che si subiscano dei sorpassi, ed infatti prego, accomodatevi:
ecco due ragazzini che sembrano appena usciti da una partita di calcetto;
-un runner ultratech di nero vestito, probabilmente un androide;
-una ragazzina dal passo molto fluido e t-shirt rosa con accompagnatore aggiunto che le ripete a intervalli "dai che vai bene, muovi quelle braccia";
-un corpulento runner (guarda questo..meno male che mi considero grasso io) ma inesorabilmente più veloce di me;
-un lungagnone similtrail;
-un anziano podista dall'età stimata di sessant'anni. (si sa, nel podismo l'età non è così indicativa del valore).
e poi vari altri runner .
Ne supero soltanto uno che, poverino, rantola come prossimo a lasciare questa Terra.
Il mio ritmo tocca 4' 31 di minimo, poi una timida reazione, o più probabilmente una folata di vento, mi riporta a quattro e undici, ma ormai la gara è finita (io lo ero già da tempo).
Neanche il tempo di prendere fiato che sono costretto a schiaffeggiarmi; un po’ per la dissennata condotta di gara, ma sopratutto per l'assalto di un esercito di zanzare che costringe me e mia madre, quest'ultima ormai parzialmente dissanguata, a chiuderci in auto. Metto in moto e imbocco un sentiero sterrato alla cieca: qualsiasi cosa, pur di fuggire. Fortunatamente, più per culo che per perizia geografica, dopo cinque minuti riesco a immettermi sulla via principale, asfaltata, e imboccare il primo dei centosette chilometri che mi riporteranno a Fatheropoli.
Ah, quanto poco mi sono divertito: correre sopra i propri limiti significa patire, e non veder l'ora di tagliare il traguardo solo per accorciare la tortura. Ho preferito, però, una serale patita a un triste allenamento in solitaria.
Passo medio 4:18
Ciao!
domenica 1 maggio 2011
La salita non fa sconti (Gran Fondo di Barbanìa)
Deciso a dimostrare, a me stesso sopratutto, che il 143 posto nella "La 5 Comuni" di Issiglio fosse dovuto, in gran misura, alle fatiche del trail corso due giorni prima, affronto i 16 chilometri della Gran Fondo di Barbania con piglio spavaldo, cercando da subito di non perdere contatto, almeno visivo, con il gruppo dei migliori. Tale tattica si dimostra avventata, perché, ignaro delle altimetrie del percorso, la vista della prima salita si palesa già al quarto chilometro, prima che avessi potuto assorbire la fatica della tirata iniziale. Vivo un momento di sconforto: conosco quella salita avendola percorsa, e odiata, in gare ciclistiche di eoni fa. Ne affronto quindi i quasi quattro chilometri con stato d'animo incline alla depressione. Gli unici allenamenti che svolgo in salita sono quelli sui cavalcavia, dunque è destino che debba soffrire. Si palesano i primi sorpassi dalle retrovie, che d'altronde mi aspettavo. Non tantissimi, per fortuna, cosicché riesco a scollinare con una flebile dose di ottimismo in corpo. So che oggi sarà dura, perché costantemente SOPRA ai miei limiti, tanto che subisco ogni chilometro, come un pugile costantemente alle corde. Mi forzo a rallentare un po’ e ne traggo qualche beneficio, ma il percorso non fa sconti e mi vedo comunque costretto a stringere i denti. Salto ogni ristoro per non perdere tempo e rompere il ritmo, ma persino nel mio campo favorevole, la discesa, non riesco ad allungare quanto vorrei. Al 13esimo chilometro le gambe decidono improvvisamente che ne hanno abbastanza e mi lasciano: bye bye.
Però non è ancora finita, maledizione. C'è spazio per un tratto di sterrato, che prelude all'epica erta finale, un lunghissimo chilometro alla cui vista mi abbandona anche la testa, tant'è che alterno camminata e corsetta trovando il fiato per maledire tutte le salite del mondo. Sopratutto in quel frangente subisco altri sorpassi, ma la fatica è tale da rendermi immune da ogni genere di preoccupazione agonistica. Quello che m’importa è FINIRE LA DANNATA GARA.
Un’occhiata all'ordine di arrivo mi scopre al 94esimo posto su 222, ventiduesimo di categoria.
Dopo una gara simile posso solo affermare con più convinzione: odio le salite.
Oggi però mi sono sentito veramente parte di una squadra ed è stata una bella sensazione.
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