Buongiorno a tutti.
L’anno scorso, reduce da una frattura al malleolo, non vi avevo potuto partecipare. E quando zoppichi, o comunque il fisico non sostiene la tua voglia di corsa, vedere gli altri correre ti mette addosso una grande tristezza. Quest’anno invece ero lì, in mezzo a stambecchi e camosci umani. E vai con la mia prima gara in montagna.
Quello che viene dopo è una sequenza di saliscendi non lunghissimi, ma che reclamano un dazio di fatica. In alcuni tratti cammino, pur spedito, ingobbito in avanti con le mani unite dietro. Poi abbandono questa andatura da trailer per fare oscillare le braccia avanti ed indietro, quasi come praticassi sci di fondo. Così mi pare di avere più spinta. Insomma, sono indeciso se corricchiare comunque o affrontare camminando i tratti più ripidi. In quest’ultimo modo mi pare di far meno fatica, ma quando torno a correre ho la sensazione di metterci un po’ a riprendere un'andatura accettabile. La discesa termina nei pressi del lago Pistono, di Montalto. Tuttavia non si vede. E’ zona di torbiere, acqua stagnante e zanzare a go go. Compatisco il ragazzo addetto al percorso cui è stato affidato quel tratto, il più sfigato. Sembra stia indicando strane direzioni nel bosco ed invece si sta solo difendendo da un nugolo di zanzare fameliche.
Si arriva in territorio eporediese. Percorriamo un tratto asfaltato, in discesa, che lambisce il lago Sirio. La strada spiana e c’è il primo ristoro. Afferro un bicchiere d’acqua; ne bevo un sorso veloce e il resto me lo getto in testa. Poco dopo passo sotto un'improvvisata doccia che il proprietario di un giardino adiacente al percorso, buon samaritano, ha creato con un tubo di gomma. Da lì in poi si comincia a risalire. La frequenza cardiaca è al massimo: 160 bpm. A un certo punto provo a camminare per alcuni secondi, giusto per abbassarne un po’ i battiti. Però è inutile: risalgono in fretta e poi rischio di far tardi. Un chilometro a 6.14. Il bello arriva quasi alla fine, quando mancano circa due chilometri. E’ un tratto talmente duro che in un flash rivedo tutta la mia vita precedente. Di correre non se ne parla. Il sentiero diventa una serie di scalini naturali di roccia. La media è di sette minuti e venti al chilometro. Qui non solo avanzo camminando, ma premo con le mani sul quadricipite che si alterna in appoggio. Nel momento di maggior sforzo sono superato da una camoscia umana bionda che va su come trainata da un cavo. Di starle dietro neanche a parlarne. L’orgoglio lo vorrebbe ma le gambe non hanno più nulla da dire. Le sparerei, ma sono disarmato. Nell’ultimo chilometro rivedo finalmente l’asfalto, e il percorso ricalca quello del primo giro in paese. La media si riprende ma ormai i giochi sono fatti. Ultima accelerazione per superare un podista cappelluto e andatura alla Marco Olmo e terminare dodici chilometri e 260 metri alla 130 posizione su 231, 17 esimo su 29 di categoria. Esperienza formativa, niente da dire. Una vacanzina dalle solite garette tutte piatte ed asfaltate.
Impressioni finali:
Gran bella gara, non c’è che dire. Chi ama la corsa in montagna dovrebbe farci alla fine un pensierino. Il percorso, di per sé vario, è segnalato in maniera splendida. Non solo i passaggi al chilometro, ma anche indicazioni con la distanza mancante al più vicino ristoro. La mia è stata una partecipazione dettata dal fatto che il luogo della competizione fosse comodo da raggiungere. Perché per ora quello che m'interessa è correre sempre più veloce. E’ quello il parametro di cui intendo tener conto, per capire quanto migliori giorno dopo giorno. Invece, in gare collinari, o montane (sebbene non eccessive, come quest’ultima) non ho riferimenti precisi, a parte le sensazioni provate, di come stia andando.
Ma ora, pensiamo a Favria.
Ma ora, pensiamo a Favria.