Tralasciando il prologo, con la tragica levataccia delle 4.45 per prendere in tempo gli autobus che mi hanno portato da Cannes a Nizza, ovvero dal traguardo alla partenza, l'arrivo alle 6 di mattina in una piazza Massena ancora al buio, con due ore da riempire senza sapere come, si può dire che le cose più interessanti siano accadute dal diciottesimo chilometro in poi.
Fino a quel momento sono rimasto incollato ai pacer delle tre ore e quindici, tempo evidentemente al di sopra delle mia attuali possibilità visto che mi ritrovo a correre non su due gambe ma su due tronchi d'albero e questo non è un segnale incoraggiante durante una maratona giunta neppure a metà.
Così, quando a Villeneuve Loubet scorgo tra il pubblico Lia e mia madre, annuncio loro la mia intenzione di ritirarmi. Lia mi consiglia dispiaciuta di provarci comunque, magari rallentando, ma sento di non aver proprio più nulla da dare. Al ventunesimo chilometro finalmente mi fermo, e telefono perché mi vengano a recuperare da qualche parte. L'impresa è complicata dal fatto che sia lei che mia madre al momento sono sul treno che hanno preso per seguire la competizione, fermandosi e risalendo in vari punti del passaggio di quest'ultima. Devono quindi prima tornare a Cannes, recuperare l'auto e poi tornare indietro a prendermi (svantaggi delle gare in linea). Nel frattempo mi rimetto a corricchiare svogliatamente; ormai mi sento estraneo all'evento. Passano alcuni chilometri. Ritelefono a Lia: il treno ha un guasto ed ha accumulato ritardo. Pazienza. La prego di richiamarmi quando il treno riparte. Continuo poco convinto. Fermo il GPS, non c'è più nulla da registrare.
L'attraversamento di Antibes avviene
tra due ali di folla incitante: c'è molto entusiasmo, la giornata è
splendida e quasi mi spiace di non poter offrire uno spettacolo
decoroso, con la mia corsetta che si fa sempre più spenta. Proprio
nel clou del passaggio, in mezzo ad una folla consistente di persone
il telefono, che ha forma e colore di una saponetta e la stesso
coefficiente di scivolamento, cade in terra, attraversa metà sede
stradale e si ferma accanto al cordolo. Lo raccolgo velocemente,
formulando mentalmente la preghiera che sia ancora funzionante, in
quanto unico via d'uscita da quella maratona. E' Lia e mi informa che
il treno è finalmente ripartito.
L'idea di fermarmi da qualche parte
ad aspettare non mi va, quindi proseguo, alternando alla sterile
corsetta anche qualche tratto di camminata.
Dopo aver costeggiato il porto,
l'Avenue de Verdun percorsa dalla fiumana di partecipanti curva a
destra verso l'interno della cittadina, ed una ulteriore svolta,
questa volta a sinistra, rivela con mio sommo disappunto una
salitella, uno spunto, uno strappetto. Durante una maratona però,
anche salire su un cordolo equivale a fatica e per me quel tratto,
di soli 36 metri di dislivello che ci porterà a Cap d'Antibes, equivale al Passo Pordoi. A dispetto delle sensazioni negative, arrivo in cima
zampettando con passo accettabile a fianco del Musée Picasso ed
approfitto della successiva discesa per rifiatare.
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Si sale verso Cap d'Antibes |
Quando la discesa spiana, scopro di
avere ancora meno energia in corpo.
Bravò Gianfranco! E' l'incitamento
che raccolgo da più di uno spettatore che, letto il nome sul
pettorale, vuole benevolmente darmi quella carica che in quel momento
non ho. Vorrei infatti solo fermarmi, ma la forza della maratona mi spinge
avanti a forza. Il fiume umano del quale faccio parte mi condiziona
col suo fluire e ci vuole (incredibilmente) una certa forza mentale
per fermarsi o anche solo camminare quando tutti corrono avanti.
Del resto, fermarsi dove? In quel
momento non sapevo di preciso dove fossi e di conseguenza neppure ero
in grado di fornire una indicazione utile al recupero.
Squilla la saponetta: Lia mi avvisa
che il treno è arrivato a Cannes, appena sale in auto mi richiamerà.
Nel frattempo proseguo sperando di
raggiungere prima o poi una zona ove possano venirmi a prendere. In
quel momento la strada costiera sembra lontana dalle arterie principali di comunicazione e non è mia
intenzione abbandonare la maratona per inoltrarmi in strade cittadine
sconosciute al solo scopo di essere recuperato più facilmente.
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Esausto |
Ormai, ogni chilometro è guadagnato
con i denti e l'unico carburante mentale di cui dispongo è la
speranza che presto il calvario avrà fine. Magari alla prossima svolta oppure alla
fine del lungo rettilineo che ho davanti potrò fermarmi ed
aspettare, e null'altro. Sono ancora in gara, ma non mi sento affatto
in gara, non più.
Abbiamo tagliato a metà un istmo e
siamo entrati a Juan-Les-Pins.
Dopo uno spunto in salita, che
questa volta mi lascio alle spalle senza neppure azzardare un passetto di corsa, il
tracciato di gara viene affiancato a destra da una strada trafficata.
Perfetto, penso.
Leggo su un vicino cartello stradale, cercando punti di riferimento:
Antibes alla mia destra, Golfe Juan alla sinistra: un po' generico.
Comunque mi fermo e mi siedo.
Rifletto.
TROPPO generico.
Mi rialzo e riprendo il cammino, attraversando
la strada per portarmi dalla parte opposta della
carreggiata, ove possa camminare senza ostacolare nessuno.
Ora mi serve soltanto un riferimento
geografico da fornire a Lia, perché lo imposti sul navigatore.
Ecco, quel residence dal nome La
CROIX DU SUD sembra perfetto.
Altra telefonata per comunicarne il
nome.
Nel frattempo, mi sono di nuovo
fermato. Sto per togliermi il pettorale ma poi rifletto che
tenerlo in mano sarebbe più scomodo e lo lascio dov'è.
Faccio un po' di stretching, mi
guardo intorno. Poi noto l'estremità di una viuzza, il cui sbocco
sul tracciato di gara è presieduto da una pattuglia di polizia
locale e ritenendolo un punto migliore da raggiungere in auto, mi ci
reco, spostandomi dunque un po' più avanti rispetto al residence.
Attendo fiducioso.
Attendo fiducioso.
Alcune auto si sono fermate per
assistere al passaggio della maratona.
Mi attraversa un pensiero
fuggevole in che mi suggerisce quanto sarebbe dolce approfittare di
un passaggio fino a Cannes. In auto, ma anche in motorino.
Dopo parecchi minuti di attesa che
si è fatta progressivamente frustrante, ritenendo che
muoversi sia meglio che attendere inutilmente, conscio che la
circolazione viaria, pesantemente modificata per la maratona,
renderebbe arduo il mio ripescaggio mi ributto nel flusso umano
incessante diretto verso la meta. Siamo ormai in zona più animata,
non dovrebbe essere difficile il recupero.
Dalle retrovie spuntano i pacer
delle 3:30 che si allontanano all'orizzonte in breve tempo. Forse, se
avessi puntato a loro, anziché a quelli delle 3:15 sarei ancora in
gara. Sottolineo IN GARA e non semplicemente presente in essa, come sono ora.
Questa volta mi è andata di rischiare puntando in alto. Forse troppo, certo; ed ora, un ritiro. Non è una buona notizia per il morale, perché di ogni ritiro qualcosa, in fondo, rimane, e può crearmi un precedente. Ma oggi non va proprio: di proseguire non se ne parla. Del resto, questa maratona neppure l'ho preparata ed è a tutti gli effetti un corpo estraneo in una tabella di preparazione incentrata sui trail, iniziata da poco e perdipiù con uscite domenicali di un'ora e trenta di lungo al massimo.
Questa volta mi è andata di rischiare puntando in alto. Forse troppo, certo; ed ora, un ritiro. Non è una buona notizia per il morale, perché di ogni ritiro qualcosa, in fondo, rimane, e può crearmi un precedente. Ma oggi non va proprio: di proseguire non se ne parla. Del resto, questa maratona neppure l'ho preparata ed è a tutti gli effetti un corpo estraneo in una tabella di preparazione incentrata sui trail, iniziata da poco e perdipiù con uscite domenicali di un'ora e trenta di lungo al massimo.
E' dal diciottesimo
chilometro ormai che anelo al ritiro e mi chiedo con quali forze sia
riuscito ad arrivare fin qui, al trentacinquesimo. Quanto mancano? Sette chilometri? Naaa, non ce la posso fare, non con queste gambe. Con il fiato ce la farei anche, ma non con questi tronchi.
Realizzo che l'impresa che sembrava impossibile si è fatta improvvisamente alla mia portata: tutti i pensieri neri che mi avevano accompagnato fino a quel momento lasciano il campo ad una strana sensazione di rivincita. Il traguardo è a pochi chilometri: la montagna inaccessibile, troppo alta da scalare, si è sgretolata pezzo a pezzo, chilometro dopo chilometro ed ora è soltanto una lieve, dolce collina.
Da un
pò la maratona ha ripreso a lambire la splendida costa. Mi fermo ad
ogni ristoro, anche perché è l'unica occasione in cui il mio
camminare non sembri fuori posto rispetto alla corsa degli altri.
Laddove
tutti si precipitano ai numerosi banchi come falchi sgomitando ed
ingollando frettolosamente qualcosa di liquido e solido prima di
ripartire in fretta io con calma bevo più volte, riempio la
borraccia a mano, e proseguo, sempre camminando.
Richiamo
Lia, per avvisarla che mi sto avvicinando ed in quel momento noto il
cartello del
38
esimo chilometro
E' in
quel frangente che la mia percezione della realtà cambia.
"Rimani
dove sei, la finisco!” le dico.
Realizzo che l'impresa che sembrava impossibile si è fatta improvvisamente alla mia portata: tutti i pensieri neri che mi avevano accompagnato fino a quel momento lasciano il campo ad una strana sensazione di rivincita. Il traguardo è a pochi chilometri: la montagna inaccessibile, troppo alta da scalare, si è sgretolata pezzo a pezzo, chilometro dopo chilometro ed ora è soltanto una lieve, dolce collina.
Accelero.
La camminata diventa corsetta, poi corsa. Recupero posizioni su
posizioni, volo sulle ali di un ritrovato entusiasmo; è un passo da
inizio gara, non da fine maratona.
E'
l'orgoglio che mi spinge avanti, è la mia personale rivincita. Mi
accoglie la scritta Cannes.
Sembra un sogno. Sembra un altra gara, quella cui sto partecipando.
Questi chilometri finali sono una fiammata in cui bruciano tutti i
pensieri negativi di sconfitta, rinuncia e pessimismo nutriti fino ad
allora.
Il
tempo non mi interessa, quello che importa a questo punto è finire.
La
mia terza maratona si conclude con una volata forsennata ad un passo medio di 3.34 sul
tappeto blu che porta al traguardo tra l'assordante boato della folla
che assiepa le transenne ai due lati.
Il
tempo, di quattro ore e due minuti sembra addirittura benevolo, visto i
frequenti stop, le attese, le camminate.
Sebbene
dal diciottesimo fino al trentottesimo chilometro il mio unico
pensiero sia stato solo quello di sottrarmi alla stanchezza, al gioco
che non volevo più giocare, alla missione che non consideravo più
mia, la sconfitta è diventata inaspettatamente vittoria. Non
mi è servito tanto il crederci, perchè non ci credevo più, quanto
il fatto di continuare comunque ad andare avanti.
Un
insegnamento prezioso, che è il regalo più grande di questa
maratona.
3 commenti:
quello che non fanno le gambe a volte lo fa la nostra testa
grande forza di volontà! Complimenti!
bravo father! d'ora in poi solo gare in linea! :-D
Master@ Grazie! Diciamola tutta però..la testa ed anche un pò il caso.
Frank@ Pensando ai 44 km della Transgrancanaria in marzo mi viene già da ridere.
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