L'autobus, guidato
dalle esperte mani di un autista del luogo, segue con precisione una stretta
strada che si inoltra nel cuore di Gran Canaria. Altri autobus seguono ed altri precedono per
un totale di sei, trasportando un carico
di runner che correranno la Transgrancanaria
marathon 2016. Destinazione: El Garanon.
Con alle spalle il bailamme turistico commerciale della costa, tornante dopo
tornante l'isola sta svelando il suo volto più vero e selvaggio, fatto di
severe e brulle alture, imponenti formazioni rocciose, bassa vegetazione. Ogni
tanto compare qualche paesino a colonizzare il paesaggio selvatico, mentre
cominciamo a scorgere le bandelle sistemate dall' organizzazione. Giungiamo
alla meta dopo due ore di viaggio, dovute anche ai frequenti stop ove, nei
punti più stretti, qualche auto era
costretta a manovrare per favorire il passaggio
del bus. Sbarchiamo in un bosco di conifere accolti da un freddo
pungente, tanto che mi ritrovo a tremare nonostante la giacchetta che avevo indossata
salendo sul mezzo.
Non c'è tempo per un
riscaldamento, in quanto dopo la punzonatura siamo subito accolti da appositi
settori che, come le griglie della maratona, corrispondono alla durata stimata
della gara. Mi sistemo in quello delle sei ore, e mi ritrovo nella prima griglia,
venti minuti prima della partenza. Lo speaker è in gamba e fra
incitamenti, musica a palla, mani al
cielo e finalmente countdown, finalmente si parte. Mannaggia, mi commuovo e qualche lacrimuccia scende a tradimento: impossibile non farsi
coinvolgere dall'atmosfera, senza contare che i primi cento metri si fanno
strada in mezzo ad un pubblico caloroso ed incitante, che non lesina applausi ed "ANIMO"! Questa è la gara che da anni
ho immaginato di correre, ed ora sono
qui, insignificante runner da cortile, a
consumare le mie forze per dar vita a questo grandioso spettacolo collettivo, a
condividere con altri ottocentoventidue cuori questo sueno, che ti fa sentire
grande anche se grande non sei.
In questo primo tramo il terreno è morbido, cosparso di aghi
di pino. Poco prima della partenza ho scelto di sfidare il freddo, togliendomi
la giacchetta. Scelta giusta, a posteriori: appena il sentiero si impenna in
modo tale da costringerci a camminare in fila indiana sento presto caldo e
compatisco chi non si è liberato degli
indumenti più pesanti.
L'ascesa è tutto
sommato indolore: i ritmi non sono certo elevati e si vive una atmosfera di
allegria scevra da tensione agonistica. Nei punti in cui grossi rami di pino
caduti al suolo restringono la già esigua pista si formano estemporanei tappi.
Il punto più elevato del percorso è presto raggiunto: si tratta del Pico de Nieves,
a 1942 metri di altezza.
Si scende: in lontananza le imponenti formazioni rocciose del Roque Nublo |
La
discesa seguente serpeggia senza particolari difficoltà tecniche e permette in
alcuni tratti di alzare lo sguardo a cogliere la magnificenza del paesaggio che
ci circonda. Mi volto, per cogliere qualche immagine in più e scorgo una fila di variopinte figurine umane a tracciare la strada che ho appena
percorsa. E' il tratto in cui mi sento meglio, al termine del quale recupero 57
posizioni.
Senza
particolari difficoltà dopo dodici chilometri avviene il ritorno alla civiltà,
giungendo in picchiata al primo ristoro, a San
Bartolome de Tirajana (Tunte)
L'accoglienza dei
locali è festosa, con piccoli capannelli che non lesinano incitamenti. Qualche caramella gommosa, un pugno di
noccioline, e riparto: da bere ne ho in abbondanza. Ancora un tratto di discesa
su asfalto, poi curva secca a destra e su ad arrampicarci per una viuzza con
una pendenza da villaggio tibetano. Dopo un falsopiano che funge un po' da
antipasto, mi trovo a fissare con sgomento un lungo nastro di cinque chilometri di salita che mi vedrà camminare per la
maggior parte del tempo, per un arido ed aspro sentiero che costeggia il Barranco de Pilancones.
Rifletto che
definire la gara "una maratona in discesa" è un modo sbrigativo e
poco appropriato per definire una prova ben più completa. Non si incontrano
pendenze esagerate, ma i tratti in salita si fanno sentire e non sono semplici
intermezzi tra una discesa e l'altra.
Nel frattempo, da un
verde nord ci siamo trovati in una arido sud, con una vegetazione spoglia e di
basso fusto tipica del deserto.
Nella successiva
discesa mi si accende una spia di allarme. Ho recuperato altre dieci posizioni,
ma la meta sembra ancora terribilmente lontana da affrontare con gambe che sembrano aver perso reattività e questo mina
la mia fiducia. Comincio a farmi da parte per far passare i sempre più numerosi
runner che mi superano. In questi istanti sembrano tutti più in forma.
È una discesa a malapena corribile che subisco passivamente, come un
pugile messo alle corde da una serie di colpi ben assestati. Sono stanco. Con
stato d'animo sempre meno entusiasta, dopo aver percorso una strada sulla parte
terminale della diga di Ayagaures,
raggiungo il ristoro che da tempo bramavo, per fare il punto della situazione e
magari rimettere in sesto le gambe con degli automassaggi e stretching. Gente
sempre festosa, io sempre meno.
La diga di Ayagaures. Sullo sfondo serpeggia la salita che si percorrerà al ritorno. |
Telefono a Lia
che, vedendo la chiamata, pensa che
abbia intenzione di ritirarmi mentre
volevo solo avere una idea della mia posizione rispetto agli altri
partecipanti.
Aspetto un po' e riparto senza sentirmi molto meglio di
prima. Si riattraversa per un tratto la
stessa strada della diga ma all' inverso, poi ci attende un' altra salita di
tre chilometri su una ampia strada sterrata non particolarmente tosta, battuta da un vento fastidioso.
Nessuno corre qui e questo mi rincuora. A
parte qualche alieno che ci supera corricchiando, la maggior parte dei
concorrenti intorno a me cammina. Recupero qualche posizione, senza faticare
più di tanto, pur mantenendo un passo veloce e costante. E' l'ultima pendenza
della gara. Da qui in poi si scende. Le gambe sono stanche, e pur non
trattandosi di un declivio difficoltoso, basta poco per inciampare. Così
succede infatti a due davanti a me, uno dopo l'altro. Niente di grave: uno la
prende sul ridere, e guardandomi, dice qualcosa che probabilmente è una battuta
scherzosa. Trattandosi di uno spagnolo, come almeno l'80 per cento dei
concorrenti, non capisco nulla ma rido sulla fiducia. Quando la strada
finalmente spiana, raggiungiamo il tratto meno coreografico: quello che sembra
il letto di un torrente in secca, dove un tunnel di verzura nasconde alla vista
l'ambiente circostante.
I ciottoli limitano
la corsa, ma la mia è comunque ormai una
sorta di procedere secondo la scuola corri e cammina di Jeff Galloway. Dopo i primi venti chilometri le velleità
agonistiche sono state sostituite progressivamente dalla voglia di finire la
gara. Con rare eccezioni, è quello che fanno tutti, ormai.
Non penso alla
classifica, ma cerco comunque di difendere la posizione, non si sa mai.
Dal freddo pungente
di El Garanon siamo passati ad un caldo secco che mi fa consumare velocemente
la cola con cui ho riempito la borraccia a mano. Un gentilissimo concorrente mi
offre dell'acqua, ed indicandomi chiede se sto bene "Yes, and you?"
"Ok"
Ormai siamo nella
periferia di Maspalomas. A coppie,
gruppetti, in ordine sparso come soldati in rotta dopo una battaglia ci
avviciniamo alla meta agognata, guadagnandoci qualche residuo "ANIMO!" cui per la stanchezza rispondiamo, al massimo, con uno stiracchiato
sorriso.
Esaurite da tempo le
energie, è rimasta solo la volontà. Quando finalmente scorgo l'arrivo e quando
lo varco, dopo una passerella tra il pubblico, pur avendolo bramato per cinque
ore e mezza non provo le stesse vibranti emozioni della partenza, solo un compiaciuto
senso di soddisfazione per essere riuscito a varcare la meta, ed a realizzare
il sueño.
Dati:
Distanza 42,62 km
Durata 05:32:03
223esimo su 822
partenti
Quinto di categoria
su 60
5 commenti:
Bravissimo Gianfranco, quasi mai a caldo si assaporano certe prove psicofisiche. Immagino però che le "vibranti emozioni" siano scese nei meandri della tua mente, laddove semplicemente e gelosamente si vive per realizzare il sueño...
@marianorun
Dici bene Mariano. Queste emozioni non sfogate sedimentano, e certe gare che non rifaresti più appena varcato il traguardo le ricordi con nostalgìa e dopo neanche una settimana le rifaresti.
Leggo adesso!
Posti molto belli, valgono sicuramente la fatica di percorrerli. Certo che però potevi togliere il cartellino col prezzo dallo zainetto! Sai quanto ti ha rallentato?! :-D
@Frank
No, quello è un chip! Lo zainetto l'ho preso a nolo perchè ho speso tutto per l'iscrizione,tant'è che sono tornato a casa in piroga.
hanno copiato il chip canavesano allora!
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